Fascismo


Le origini

La durezza della prima guerra mondiale aveva rotto l'equilibrio della società pre-bellica rendendo difficili nuovi livelli di mediazione. Il quadro sociale era composito ed incerto, in un contesto nel quale si tendeva a staccarsi definitivamente dall'Ottocento.
Il primo Fascio di combattimento (il termine deriva dal fascio littorio dell'antica Roma) fu fondato a Milano, da Mussolini, il 23 marzo 1919, cinque mesi dopo la fine del conflitto. Confluivano nel suo programma elementi nazionalistici(la vittoria mutilata),influenze anticlericali, repubblicane e del sindacalismo rivoluzionario, miti della violenza e dell'atto di coraggio (propri del Futurismo). Il risultato fu un movimento antisocialista che ricorreva apertamente alla violenza. Verso la fine del 1920,dopo il sostanziale fallimento dell'occupazione delle fabbriche, si sviluppò e diffuse rapidamente. Appoggiato dai proprietari terrieri nell'Italia del Nord e di centro e giovandosi dalle connivenze istituzionali (magistratura ed esercito), il movimento fascista si concentrò a distruggere, con la violenza delle sue squadre, le organizzazioni contadine ed operaie. Anche gli industriali guardavano al fascismo come ad uno strumento da utilizzare contro le organizzazioni operaie.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

La battaglia di Firenze

Il fascismo fiorentino aveva ricomposto le sue divisioni nel gennaio del 1921, sotto la guida del marchese Perrone Compagni, il "granduca di Toscana",e del tenente Tullio Tamburini, il "grande bastonatore", per dedicarsi all'attività intimidatoria contro le amministrazioni socialiste. Il 26 gennaio i fascisti distrussero la tipografia della "Difesa"in via Laura. Il 27 febbraio, alle 18, un gruppo di quattro squadristi entra in via Taddea 2 -sede del Sindacato ferrovieri, della Lega proletaria dei mutilati, invalidi e reduci di guerra, della Federazione provinciale comunista- mentre altri quattro aspettano vigilando la strada. Il primo gruppo spara quattro colpi di rivoltella contro Spartaco Lavagnini, due alla testa, un altro al petto, il quarto alla schiena. Una sigaretta accesa posta dagli assassini tra le labbra del cadavere mostra il disprezzo per l'avversario.
I ferrovieri, appena diffusa la notizia della morte di Spartaco Lavagnini, proclamano lo sciopero: i treni restano bloccati a Rifredi, al Campo di Marte e a San Donnino.Il 28 febbraio lo sciopero si estende alle altre categorie e si diffonde nella provincia fiorentina. Prende avvio la cosiddetta battaglia di Firenze, con i tumulti in San Frediano, dove si alzano barricate.
A Scandicci si sa che i fascisti verranno per occuparla; la popolazione, riunita in piazza, decide di difendere il paese, i contadini barricano il ponte a Greve, all'ingresso del paese. Quando si presenta un camion di carabinieri, questi reagiscono come possono. Una colonna d'artiglieria, dotata di pezzi da campagna (una batteria da 75) e di autoblindo, provvede a soffocare la rivolta. Poi, ad ordine ristabilito, intervengono i fascisti per la spedizione punitiva esemplare.
Il 1° marzo del 1921 due camion di marinai in borghese, scortati da due carabinieri, vengono mandati da Livorno a Firenze per sostituire i ferrovieri in sciopero. Nell'attraversamento di Empoli, scambiati per fascisti, vengono attaccati. Il giorno dopo Empoli, sotto la guida di Tamburini e Frullini, viene occupata militarmente, poi, il 3 marzo viene occupata anche Santa Croce. Il 4 marzo le squadre muovono all'occupazione di Fucecchio, realizzata dopo un giorno di duri e sanguinosi combattimenti.
Il 2 marzo, la direzione del PCd'I lancia un appello alla resistenza e all'organizzazione.
La battaglia di Firenze si chiude con un bilancio di diversi morti e feriti. Politicamente è siglata l'alleanza tra le istituzioni, il fascismo e la classe dirigente dell'economia.

Verso la marcia su Roma

Successivamente si apriva una fase di duri scontri nelle piazze tra lo squadrismo che si potenziava e gli antifascisti -in squadre di arditi del popolo, cui parteciparono comunisti, socialisti e repubblicani- per la difesa delle città, dei municipi, delle camere del lavoro. I fascisti con le minacce e le incursioni puntavano a conquistare con la forza amministrazioni locali ed istituzioni operaie.  In larga parte la classe dirigente era orientata a vedere nel fascismo un male necessario -per soffocare il disordine sociale- ma passeggero e riassorbibile. Tale fu la posizione del "Corriere della Sera" e di influenti esponenti della cultura liberale. Simile fu anche la posizione politica di Giolitti che, nelle successive elezioni del maggio 1921, puntò sui cosiddetti blocchi nazionali, comprendenti i nazionalisti e i fascisti. Il risultato dei candidati nazionalisti e fascisti (eletti in 35 alla Camera) decretò la sconfitta politica di Giolitti. Il successivo governo Bonomi ricercò un accordo. Nell'agosto del 1921 ottenne un patto siglato da Mussolini e Turati. Il patto fu rapidamente sconfessato dai capi dello squadrismo(dal novembre 1921 Partito Nazionale Fascista) e decadde provocando, nel giro di pochi mesi, la crisi del governo stesso, incapace di garantire l'ordine.
Di lì a poco l'antifascismo subì una grave sconfitta con l'insuccesso dello sciopero generale legalitario del luglio 1922, proclamato dalla CGdL e da altri sindacati dei lavoratori, con la richiesta del ritorno alla normalità legalitaria.
Anche allora la chiave di volta consistette nella sintonia tra le autorità governative ed i fascisti. La marcia su Roma fu la sostanziale ratifica di quel patto gradito alle classi dirigenti e specialmente alla monarchia.

La marcia su Roma
La marcia su Roma

Dalla marcia su Roma alla dittatura

La marcia su Roma avvenne il 28 ottobre del 1922. Alla proposta del governo, presieduto da Facta, di proclamare lo stato d'assedio, il Re rispose negativamente e chiamò Mussolini a formare il governo.

Il primo governo Mussolini fu di coalizione, comprendendo popolari, demosociali, liberali, nazionalisti e pochi fascisti. Era politicamente un blocco moderato di destra uscito da un colpo di stato.Di fatto era sostanzialmente debole, né legalitario né seriamente rivoluzionario. Mussolini cercò di ampliare le sue alleanze: cercò subito l'intesa con il Vaticano, per superare meglio l'ostilità della parte di Partito Popolare legata a don Sturzo; avviò la riforma della scuola, preparata dal filosofo nazionalista Giovanni Gentile, secondo criteri di selettività sociale, che si realizzava grazie alla nascita di diversi tipi di scuole.Il ruolo della religione cattolica nell'istruzione risultava importante. Come risultato ottenne i pieni poteri per la riorganizzazione fiscale e amministrativa dello Stato.
Sul piano "rivoluzionario" il nuovo governo creò il Gran Consiglio del fascismo, composto dai massimi dirigenti del partito, del sindacato fascista e del­l'amministrazione statale. Fondò la Milizia Volontaria, per dare regolarità formale allo squadrismo e contenerne meglio gli impulsi.
La fusione del PNF con l'Associazione Nazionalista, formalizzata nel febbraio del 1923,ne accentuò la caratterizzazione conservatrice Non mancarono fenome­ni di contrapposizione dei capi locali nei confronti del centralismo mussoliniano. Malumori sindacali derivavano dalla politica economica liberista, condotta dal ministro delle Finanze De Stefani.Era però gradita al mondo finanzia­rio per l'abolizione del mono­polio statale sulle assicurazioni, l'attenuazione delle barriere doganali, l'abolizione della nominatività dei titoli all'im­posta di successione, il salvataggio di imprese in crisi, come il Banco di Roma e l'Ansaldo.
Per garantirsi una maggioranza assolutamente solida alla Camera, Mussolini fece preparare da Bianchi e Acerbo una nuova legge elettorale maggioritaria. Essa prevedeva l'attribuzione del 65% dei seggi alla lista che avesse conseguito la maggioranza con una percentuale superiore al 25% dei voti. I rimanenti seggi si sarebbe distribuiti tra le liste sconfitte su base proporzionale. In vista di questa legge, il Presidente del Consiglio preferì accantonare un progetto di legge per il controllo sulla stampa. Ciò non impedì ad una parte dei liberali, che fino ad allora avevano accettato l'opera del fascismo, di prendere le distanze, come accadde a Croce,ad Albertini e ad Amendola.
Alle elezioni del 1924, a cui si presentarono un listone fascista, comprendente liberali conservatori e clerico-­moderati, e una seconda lista destinata a recuperare voti anche nel proporzionale, si verificarono prevaricazioni ai seggi,nonché irregolarità nel voto, che il socialista riformista Matteotti denunciò.

Vittorio Emanuele III
Vittorio Emanuele III

Dal delitto Matteotti al Gran Consiglio

Il rapimento e l'uccisione di questo deputato, nel giugno del 1924, mise in crisi la saldezza politica della Presidenza del Consiglio. Infatti i gruppi parlamentari socialista, comunista, socialista unitario, popolare, democratico sociale, sardista e parte dei liberali democratici di Amendola abbandonarono i lavori parlamentari formando il cosiddetto"Aventino". All'Aventino mancò la coesione, ma mancò soprattutto la disponibilità del Re ad accogliere una mozione in difesa dell' ordine statuta­rio.Dopo qualche mese d'incertezza, Mussolini tenne il discorso del 3 gennaio 1925 con il quale si assunse le responsabilità politiche dei fatti e quindi si costituì la premessa per la svolta politica.Sul piano economico il fascismo scelse di puntare alla modernizzazione dell'economia industriale. All'agricoltura venne riservato il compito di contenere l'eccedenza di manodopera. Da qui la campagna della "ruralizzazione", l'orientamento alla realizzazione delle bonifiche. Ne derivò il buon accordo con la Confindustria, favorito anche dall'accordo di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 -tra Confindustria e sindacati fascisti- che attri­buiva a questi ultimi la rappresentanza esclusiva dei lavoratori in un quadro di rapporti di produzione non conflittuale. Era il passaggio ad una visione corporativa del con­fronto sindacale, in un generale piano di normalizzazione che investì anche gli intellettuali e la stampa.Si ebbe così la sostituzione -in sintonia con la grande proprietà dei giornali- dei direttori di testata entrati in sospetto, come Frassati de «La Stampa» e Albertini del «Corriere della Sera».Tre attentati, nell'aprile, nel settembre e nell'ottobre del 1926, prepararono il passaggio alle leggi "fascistissime".Queste stabilirono la chiusura di tutti i giornali di opposizione, lo scioglimento di tutti i partiti, tranne il fascista, il confino di polizia, la pena di morte per gli attentatori, la confisca dei beni ai fuorusciti, l'istituzione di un Tribunale speciale per la difesa del fascismo. I parlamentari ex aventiniani venivano esclusi dai lavori della Camera. Poco tempo dopo, i sindaci eletti venivano sostituiti da potestà nominati dal governo ed i consigli comunali venivano eletti dalle consulte nominate dai prefetti. Si compiva così il passaggio dal presidenzialismo autoritario alla dittatura. Il 21 aprile 1929,dandosi come fonte ispiratrice la Carta del Lavoro, improntata ai concetti di Stato etico-sociale e di Nazione, il fascismo cercava di dare volto corporativo alla nuova situazione. Per rafforzare il regime, fu preparata una nuova legge elettorale in cui ai votanti si sottoponeva una lista unica di 400 nominativi preparata dal Gran Consiglio. I componenti del Gran Consiglio, nel 1928 venivano aumentati con l'inserimento dei componenti di alte cariche istituzionali. Alla direzione comunque restava Mussolini. La monarchia accettava un proprio progressivo ridimensionamento in cambio dei risultati politici condivisi.

Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti

Il totalitarismo fascista

Una volta regime, il fascismo perseguì l'obiettivo della creazione "dell'uomo nuovo", mobilitando e militarizzando le masse con perizia psicologica e con le precise direttive dell' apparato che aveva al suo vertice Mussolini.La parola d'ordine fondamentale era riassumibile con il termine "gerarchia". Mussolini, attraverso i prefetti, imperava sulla periferia amministrativa e attraverso il partito -giunto a due milioni e mezzo di iscritti nel 1939- manipolava orientamenti e coscienze. Attraverso l'OVRA -la polizia politica-e l'apparato politico-giudiziario, perseguitava il dissenso. Valendosi di specifiche organizzazioni, l'Opera nazio­nale dopolavoro, il Comitato olimpico nazionale, i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l'Opera nazionale Balilla, i Figli della lupa, inquadrava tutte le possibili categorie, in particolare quelle giovanili.
Unica alternativa rimaneva quella dell'associazionismo cattolico, ben radicato nella cultura italiana. Dopo aver lanciato al Vaticano i primi segnali positivi, Mussolini affrontò il cruciale superamento della questione romana aperta dal 1870.
Cominciate nel 1926, le trattative si conclusero 1'11 feb­braio 1929, con la stipula dei Patti lateranensi. Questi contenevano un trattato di reciproco riconoscimento tra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica, una convenzione finanziaria per il risarcimento dei danni subiti con la presa di Roma e l'impegno dello Stato italiano a sostenere l'ex Stato pontificio: si trattava di un concordato con reciproche regole. In particolare, al matrimonio religioso si riconoscevano effetti civili. L'insegnamento della dottrina cattolica diveniva «fondamento e coronamento» dell'istruzione pubblica.Le organizzazioni dipendenti dall' Azione cattolica potevano svolgere la loro attività, senza però "toccare" l'ambito politico.L'accordo, cioè i Patti lateranensi, risultò utile a Mussolini che aumentò il proprio consenso e fu prezioso per il Vaticano che recuperò posizioni di privilegio nei rapporti con lo Stato e mantenne la propria rete organizzativa. L'accordo,che ebbe comunque momenti difficili,consentì,in ogni caso, una sostanziale armonia fino al 1938.
Nel paese fascistizzato -esposto ad un continuo bombardamento propagandistico dall'informazione giornalistica, rafforzato con un sapiente uso della radio e del cinema- erano scomparse le incertezze e difficoltà del paese reale. Il paese seguiva i processi tipici delle economie occidentali, come l'urbanizzazione, nonostante il tentativo di arginarla, e la crescente industrializzazione, ma registrava una radicata e insoluta arretratezza. Il reddito medio italiano rimase la metà del corrispondente francese, un terzo dell'inglese, un quarto dell'americano. L'alimentazione era proporzionalmente inferiore ed i beni di consumo assolutamente meno diffusi. Il regime favoriva in ogni modo la prolificità delle madri, mentre ostacolava il lavoro delle donne. Per assicurare il consenso femminile operavano le organizzazioni dei Fasci femminili, delle Piccole Italiane, delle Giovani Italiane e le massaie rurali, in larga parte ispirate o alla "militarizzazione" o ai valori tradizionali e domestici.
I maggiori successi vennero al fascismo dalla media e piccola borghesia, -più plasmabile attraverso l'istruzione- che vide nel regime un'occasione di inserimento e crescita sociale. Il fascismo prestò grande attenzione alla cultura e all'istruzione. Svolse una stretta sorveglianza su­gli insegnanti e predispose «testi unici» per le elementari. Nell'Università impose ai docenti il giuramento di fedeltà al regime, rifiutato solo da una dozzina di professori su un totale di 1200. Nel campo artistico e scientifico il regime ebbe autorevole riconoscimento da scrittori come Luigi Pirandello,da scienziati come Guglielmo Marconi, da musicisti come Pietro Mascagni,da ar­chitetti come Marcello Piacentini, da storici come Gioacchino Volpe,da filoso­fi come Giovanni Gentile.
Il controllo sulla stampa e sulla cultura, dapprima esercitato dalla presidenza del Consiglio, fu poi affidato al Ministero per la Cultura popolare (Minculpop), creato nel 1937.
A favorire il consenso fu inoltre l'intensa opera propagandistica svolta anche nel campo del lavoro. Dal 1933 l'Italia aveva potuto godere di una ripresa industriale, mentre l'agricoltura, in grado di modernizzarsi soltanto in modestissima misura, offriva ancora risultati incerti. Gli scarsi risultati del modello corporativo suggerirono una riforma del sistema, con la creazione di grandi Corporazioni dei settori produttivi. Tuttavia il sistema non riuscì a decollare adeguatamente. Più fortunata fu l'esperienza dei grandi enti economici, IRI e IMI. Restò comunque il problema della disoccupazione ed un generale livello retributivo scarso. La pressione del mondo sindacale per lo sviluppo della legislazione previdenziale e per il sostegno ai lavoratori, così come l'ottenimento degli assegni familiari, l'orario di 40 ore ed ulteriori ammortizzatori sociali, era necessaria ad avviare il passaggio al salario sociale, quindi ad una forma più avanzata del corporativismo. Agli interlocutori politici ed imprenditoriali questa appariva però come una pericolosa strada socialisteggiante. Si riaccendeva pertanto uno scontro mai sopito davvero. Il riemergere delle tensioni, insieme alla macroscopica violenza della politica antisemita, allontanavano dal fascismo soggetti della società italiana, laici e cattolici, oltre che, naturalmente, il mondo ebraico.

Balilla
Balilla

L'antifascismo militante

Già prima delle leggi fascistissime, nel mondo liberale era emersa l'opposizione antifascista di Piero Gobetti, fondatore e direttore de "La Rivoluzione liberale", rivista uscita fino al 1925. In quell'anno Gobetti morì a seguito delle percosse subite dagli squadristi. Della sua lezione critica verso il moderatismo italiano si era nutrita anche la cultura socialista, in particolare, il gruppo fiorentino-milanese del "Non Mollare".Contribuirono,inoltre, illustri aderenti al combattentismo democratico quali Salvemini, Ernesto Rossi, Nello Traquandi. Al gruppo aveva aderito anche Carlo Rosselli, che vi aveva portato una cultura che si potrebbe definire democratico-risorgimentale, fortemente ispirata a Mazzini. Dopo i primi arresti, quel gruppo fondò, nel 1926 a Milano, il giornale "Il Quarto Stato", punto d'incontro delle concezioni liberali e socialiste, ma anche delle anime riformista e massimalista del socialismo.Fra gli aderenti, appartenevano al PSU (poi PSULI) Turati, Treves, Modigliani, Saragat; al PSI Nenni.
I due partiti, entrambi esiliati a Parigi dopo le leggi fascistissime, si riunirono solo nel 1930, quando però una parte massimalista, guidata da Angelica Balabanoff, rimase a sé stante.
Al riformismo si ispirava il sindacato della la CGdL, trasportato anch'esso da Buozzi a Parigi.Al riformismo fecero riferimento anche i repubblicani, divisi al loro interno tra intransigenti e disposti a collaborare con altre forze più aperte e con la monarchia.
I comunisti, usciti dal congresso di Lione del 1926, sotto la guida di Gramsci e con la parola d'ordine della bolscevizzazione, avevano posizione a sé ed avevano avviato in Italia una forte attività clandestina. Nello stesso 1926, l'opera della polizia -sostenuta anche dal tradimento di un intellettuale di primo piano della direzione del partito- portò all'arresto di una buona parte del quadro dirigente, Gramsci compreso, che rimase in carcere fino alla vigilia della sua morte. Il partito si riorganizzò con un centro estero in Svizzera, poi trasferito a Parigi, e un centro interno a Genova, poi costretto ad operare a Lugano. Elemento decisivo nella separazione dei comunisti dagli altri gruppi, fu la definizione staliniana del social fascismo, distruttiva di ogni possibile convergenza.
Completamente autonoma era anche la posizione degli anarchici, anch'essi tra i primi ad essere perseguitati e processati.I loro organismi direttivi si insediarono dapprima a Parigi, poi in America Latina ed in seguito in altri paesi. Numerosi militanti, rimasti in Italia, svolsero attività clandestina, qualche volta in sintonia con i gruppi comunisti più estremi.
I popolari, già divisi al tempo della marcia su Roma -quando era cominciata la persecuzione di Sturzo, poi costretto a lasciare l'Italia, e De Gasperi veniva arrestato prima che potesse rifugiarsi in Vaticano- avevano una posizione particolare a seguito dall'accordo tra Fascismo e Chiesa. Non mancarono comunque gruppi attivi come i "neoguelfi "milanesi.
Parigi fu dunque il centro principale dell'attività liberal-socialista. Il principale strumento era costituito dalla "Concentrazione antifascista", fondata nel 1927. Ad essa aderirono i due partiti socialisti, la CGdL e la LIDU (Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo), fondata dal vecchio sindacalista rivoluzionario De Ambris. I repubblicani fecero parte della "Concentrazione" solo saltuariamente, pur collaborando dall'esterno.
Con l'arrivo di Carlo Rosselli, sfuggito al confino nel 1930, nella Concentrazione entrò anche il suo movimento, "Giustizia e Libertà", di ideologia liberal-socialista, pur in un difficile confronto con le vecchie componenti.
Logorata dai dibattiti, la Concentrazione antifascista finì nel 1934.Stava infatti maturando una condizione diversa in conseguenza dell'approdo di Stalin alla formula dei fronti popolari, che consentiva finalmente l'alleanza di tutti gli antifascisti. Ciò permise un impegno comune nella guerra di Spagna, attraverso la partecipazione alle brigate internazionali.

Gruppo Antifascista
Gruppo Antifascista

Il Fascismo tra impero e declino

Il potere di Mussolini crebbe progressivamente. Fu accompagnato da un alto grado di consenso alimentato anche della propaganda sul valore della sua politica estera. In questo campo Mussolini aveva tenuto una linea di esaltazione del nazionalismo e di favore nei confronti del "revisionismo" dei trattati di pace. Inizialmente in sintonia con la Francia e soprattutto con l'Inghilterra pur disponibile ad assumere atteggiamenti di forza autonomi. Ne sono evidenti esempi l'occupazione di Corfù nel 1923, l'accomodamento con la Jugoslavia su Fiume, il sostegno all'insediamento di una dinastia amica in Albania, in contrasto con la Jugoslavia. Il governo italiano giocò,invece, un ruolo di mediatore tra le potenze in occasione del patto di Locarno del 1925 e nella conferenza di Stresa. Nel 1931-32, l'Italia fascista aveva raggiunto buoni rapporti anche con gli USA e nel 1934 Mussolini si ribellò al tentativo di Anschluss nei confronti dell'Austria tentato da Hitler.
Questa linea politica fu modificata radicalmente a seguito dell'aggressione italiana all'Etiopia, nell'ottobre del 1935.Ne derivò la condanna da parte della Società delle Nazioni con sanzioni economiche. Si trattò di un embargo parziale di portata modesta, che però fu utilizzato dal regime come una formidabile occasione di mobilitazione della coscienza nazionale, culminata nella proclamazione dell'impero nel 1936.
In realtà la guerra contro l'Etiopia determinò,nei confronti dell'Italia, un mutamento in negativo dell'opinione pubblica dei paesi democratici ed un sostegno diplomatico dalla Germania nazista. Tutto ciò costituì il presupposto per una stretta unità d'azione tra Italia e Germania che portò, il 28 ottobre del '36, alla nascita dell'Asse Roma-Berlino.
La prima conseguenza dell'accordo fu la partecipazione di Italia e Germania alla guerra civile spagnola, in appoggio alle forze franchiste
L'apparato del partito lavorò per enfatizzare il ruolo del duce, raggiungendo i vertici del cosiddetto "cesarismo totalitario".Fu intensificata la presenza del partito stesso nell'apparato statale, fino a costituire un'oligarchia del potere prevaricante sulle istituzioni. L'operazione culminò, nel 1938,con la nomina di Mussolini a primo maresciallo dell'impero, in sostanziale parità di grado militare con il re. Sempre più svuotato lo Statuto, i ruoli dirigenti del partito divenivano ruoli "statali", mentre si lavorava alla modifica in senso corporativo della Camera. Il mussolinismo si sovrapponeva definitivamente al fascismo e si ammantava di furore riformatore.
Contemporaneamente prendevano lena i fermenti razzisti che avevano sempre covato nella cultura fascista. Insiti nel nazionalismo e nella cultura colonialista, erano ormai maturi per arricchirsi di contenuti antisemiti.
Già nel 1934, qualche giornale radicalmente fascista aveva cominciato ad attaccare insieme il sionismo e gli ebrei.Lo stesso Mussolini, nel 1936, aveva mostrato freddezza verso l'Unione delle Comunità Israelitiche del Regno. Il 14 luglio del 1938 fu pubblicato il Manifesto della razza. Dal falso concetto di esistenza di razze umane differenti, derivava la necessità di difendere la pura razza ariana. Seguì la pubblicazione di un periodico, "La Difesa della razza", organo di questa scienza e fautore di una legislazione adeguata. Fu emanato un corpo di leggi che apriva la via ad una discriminazione di cittadini senza precedenti nella storia italiana moderna. L'antisemitismo italiano costituì comunque un'autonoma risposta all'antisemitismo tedesco, che,infatti, aveva come obiettivo lo sterminio fisico, che mancava nel più "artigianale" razzismo italiano.
Nel contempo si avviò una crescente subordinazione della cultura politica dell' Italia fascista a quella della Germania hitleriana.Il consenso all'Anschluss dell'Austria, nel 1938, il contributo, nello stesso anno, offerto alla conferenza di Monaco a seguito della quale Hitler avviava la presa della Cecoslovacchia con il compiacimento franco-inglese,sono degli esempi.
In queste condizioni l'antifascismo riprese vigore. La partecipazione comune delle forze antifasciste alla guerra di Spagna aveva portato ad uno sforzo congiunto, ma non aveva impedito il persistere di differenze in qualche caso drammatiche, come quelle tra comunisti e anarchici. In quel periodo l'uccisione dei fratelli Rosselli privò "Giustizia e Libertà" del punto principale di riferimento.Non fu frenata comunque l'azione che portò a collegamenti con le altre forze e sfociò,nel 1937, nella Unione Popolare di comunisti, repubblicani, gieffisti, LIDU. Subito dopo il patto d'azione tra socialisti e comunisti, l'antifascismo si rafforzò, riprendendo l'ipotesi del lavoro in Italia e la prospettiva di un partito unico della classe operaia. Tale prospettiva era comunque oggetto di discussione e divisioni in entrambi i partiti.
Nel giugno del 1940,entrata in guerra, l'Italia conobbe presto grandi delusioni. Emerse con chiarezza l'impreparazione politica e militare e l'eccessiva leggerezza della scelta di partecipare alle trattative di resa della Francia. Non fu duraturo il momentaneo successo in Africa, né buona sorte ebbe l'attacco alla Grecia. Questi eventi determinarono una crescente dipendenza anche militare dalla Germania. I grandi scioperi dell'industria al Nord nella primavera del 1943, evidenziarono la ricomparsa dell'azione operaia e dell'antifascismo; i bombardamenti sulle città italiane, lo sbarco alleato in Sicilia, il bombardamento di Roma del 19 luglio costituirono le premesse per la fine politica del regime fascista. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio, Mussolini fu messo in minoranza da parte del Gran Consiglio. Il re lo fece arrestare e lo sostituì subito con il generale Badoglio, uomo di sua fiducia.
Fu decisa la continuazione della guerra a fianco dei tedeschi e, nel contempo, iniziarono trattative sotterranee con gli Alleati. Si avviò un processo di ricostruzione degli apparati, tra continuità e defascistizzazione, cui cominciarono a partecipare esponenti dell'antifascismo in esilio. In quel contesto avvenne la ricostituzione dei partiti. La dichiarazione del governo Badoglio, per cui nessun partito avrebbe potuto formarsi fino alla fine della guerra, restò sostanzialmente lettera morta. Lo stesso governo affidò ai partiti compiti di gestione commissariale dei sindacati. I partiti tornarono con nomi vecchi e nuovi: ricomparvero il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), il Partito Comunista Italiano, il Partito d'Azione, in cui confluirono i militanti di Giustizia e Libertà, e altri filoni provenienti dal cosiddetto radical-repubblicanesimo. Buona parte dei repubblicani mantenevano un'identità propria. I liberali andarono formando i "Gruppi di ricostruzione liberale" attorno a personaggi di prestigio. Alcuni liberali costituirono Democrazia del Lavoro, erede monarchica del riformismo di Bissolati. I cattolici costituirono il loro partito politico, la Democrazia Cristiana.

Carriarmati
Carriarmati

Il Fascismo in Toscana

La Toscana contribuì in modo consistente al consolidamento del Fascismo, dopo il maggio del 1922, con punte più alte a Firenze, Siena e Grosseto. Vi aderirono rappresentanti delle diverse classi sociali senza però arrivi da altri partiti.La confluenza ebbe luogo da diverse aree politiche e da nuove generazioni digiune di politica. Un ruolo significativo lo ebbe il sindacalismo che produsse quadri come il piombinese Persindo Giacomelli, l'orbetellano Umberto Pasella, il pesciatino Cesare Rossi. Il fascino dei vincitori attrasse molti giovani e non. L'orientamento mussoliniano a fare del fascismo uno strumento degli interessi industriali e agrari portò in quelle file personaggi dell'élite nobiliare, finanziaria e commerciale.Tra gli altri aderirono Pier Filippo Sassoli de'Bianchi, Giuseppe della Gherardesca, Piero Ginori Conti, Costanzo Ciano.

La marcia su Roma aprì la strada a nuovi ingressi nelle fila fasciste.La Toscana risultò la regione con maggiori aderenti, mentre i leaders assumevano rapidamente il controllo di parecchie amministrazioni locali.

Un ulteriore salto della presenza fascista avvenne con le elezioni amministrative del 1923, svolte con metodi particolarmente prevaricatori. Analogamente avvenne con le elezioni politiche del 1924, quando il fascismo toscano, fruendo della legge Acerbo, conseguì il più alto risultato italiano. Non si fermò allora la violenza fascista che colpì la stampa direttamente, come accadde al "Nuovo giornale", incendiato nel dicembre del 1923.Questo malgrado il potere sui giornali fosse garantito dal concorso dei prefetti.

La costellazione del potere, rappresentata dai cosiddetti "ras" o capi locali, vide emergere il calabrese Carlo Scorza a Lucca; il fiorentino Ferdinando Pierazzi a Grosseto; il pisano Guido Buffarini Guidi nella sua provincia; a Livorno Costanzo Ciano e la sua famiglia, anche se non in forma diretta; Renato Ricci a Carrara; Dino Perrone Compagni e il tenente Tullio Tamburini a Firenze,finché non fu liquidato dalle faide interne.A Firenze ben presto iniziarono ad affiorare nuovi personaggi come i fratelli Pavolini, in particolare Alessandro.A Siena, la lotta per il potere tra fazioni del fascismo fu più combattuta.

Il fascismo toscano conteneva in sé le diverse variabili delle sue realtà produttive. Tra il fascismo urbano e quello agrario corsero differenze di metodo e di gestione dei rapporti politici.Analogamente vi erano differenze tra i soggetti sociali chiamati a condividere le responsabilità.In una prima fase,fino al 1925, il fascismo "rivoluzionario" fu prevalente. Successivamente il peso del notabilato storico riassunse presto notevole forza. Il 1926 rappresentò una sorta di spartiacque a favore del potere del notabilato,rispetto alle velleità propulsive.

Nel corso degli anni si manifestò un particolare attivismo culturale del fascismo toscano e specialmente fiorentino.Questo attraverso riviste come "Il bargello","Il Ferruccio" di Pistoia, "Il Selvaggio". Proprio "Il Selvaggio" fu rappresentativo di una cultura militante ispirata alla filosofia dello squadrismo e, contemporaneamente, rappresentativa del cosiddetto "strapaese", tra toscanità conservatrice e velleità di una presunta rivoluzione totale. Essa si proponeva come alternativa alla cultura di derivazione idealistica, rappresentata specialmente da Camillo Pellizzi e interpretata sul piano dell'organizzazione culturale da Dino Bottai, animatore di una rivista di rilevo, "Primato" uscita alla vigilia della guerra. La particolare vicinanza all'ambiente toscano di personaggi come Giovanni Gentile enfatizzò la cultura accademica.

La cultura toscana fascista fu segnata dall'apporto dei vari Soffici, Maccari, Malaparte, Tavolini. A questi va aggiunto l'apporto degli intellettuali fiancheggiatori appartenenti ad altri ambiti non strettamente fascisti come Guido Manacorda e Giovanni Papini.

Particolare influenza negli atteggiamenti del fascismo fiorentino ebbe Alessandro Pavolini. Combattivo e fautore di una vera autonomia dell'apparato fascista nei confronti dell'apparato politico dello Stato, intellettuale e reazionario insieme, protagonista della battaglia per dare alla città una veste fascista solennemente ispirata alla grande tradizione medievale. Anche la rivisitazione storica così concepita era funzionale a quella "captatio" del consenso popolare. Ovunque, in Toscana, si riportarono in auge -quando non s'inventarono di sana pianta- tradizioni storiche da celebrare, campanili da esaltare, glorie da imitare come precorritrici della "rivoluzione" fascista. A questo scopo servirono anche il riammodernamento cittadino, l'esaltazione dello sport come riconoscimento dei valori municipali e nazionali, il funzionamento dei dopolavoro e degli altri organismi di irreggimentazione del consenso.

Il Fascismo a Firenze

Dopo le battaglia di Firenze e di Scandicci del febbraio 1921, le violenze fasciste proseguirono. Il 5 maggio fu la volta della Casa del Popolo di Rifredi a subire un attacco che si concluse con l'incendio della gloriosa istituzione democratica. Lo squadrismo andava sviluppando la sua aggressione in tante parti della Toscana, in larga misura guidato da Firenze, come fu anche a Livorno, roccaforte democratica e rossa, "espugnata" manu militari nell'agosto del 1922. Il fascismo fiorentino partecipò massicciamente alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922.Si con una legione toscana, comandata dal generale e ex legionario fiumano Sante Ceccherini, uomo in stretto rapporto con Mussolini. Della Legione toscana faceva parte una "colonna Perrone", dal nome del capo del fascismo fiorentino. Già nelle ore precedenti l'evento i fascisti fiorentini di Tamburini avevano occupato i più importanti punti strategici del capoluogo e, di fatto, imprigionati ufficiali e messo sotto assedio la Prefettura, prima che il "ras" Italo Balbo desse l'ordine di recedere per non disturbare l'azione di Roma.

Dopo l'arrivo al potere di Mussolini, lo squadrismo, per quanto in parte convogliato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, costituita dal nuovo governo per incanalarlo, non finì di operare. Federale di Firenze era ancora Dino Perrone Compagni, quando il fascismo rivelò, con il rapimento e l'uccisione di Matteotti nel giugno del 1924, la sua natura criminale.Il responsabile della squadra che aveva eseguito il delitto fu il fiorentino Amerigo Dumini, uno dei fondatori del fascio fiorentino. Dumini uomo dello squadrismo tamburiniano, aveva diretto il giornale "Sassaiola fiorentina" tra i fogli più bellicosi del movimento. Componente della cosiddetta "ceka", squadra di polizia segreta di Mussolini, fu protagonista di quell'atto che produsse anche una provvisoria crisi politica per Mussolini.

Il Fascismo fiorentino -allo scopo di ripristinare l'equilibrio politico precedente al delitto- fu pronto a riprendere lo spirito squadrista alimentando la cosiddetta "seconda ondata". Il 31 dicembre del 1924 ebbe luogo, in Piazza S.Maria Novella, una grande manifestazione di fascisti, provenienti da tutta la regione, per gridare la devozione a Mussolini, e la battaglia contro gli aventiniani e gli antifascisti.Poi un attacco devastò la sede del "Nuovo Corriere", mentre venivano assaltate case, botteghe, uffici professionali di antifascisti, logge massoniche e sedi di attività assistenziale come la Fratellanza militare. Tra gli altri obbiettivi vi fu il Circolo di cultura fondato da Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Alfredo e Nello Niccoli. Quel Circolo era particolarmente legato a Gaetano Salvemini contro cui l'emergente Alessandro Pavolini aveva guidato una manifestazione di studenti per invocarne la cacciata dall'Università di Firenze.

La "filosofia" squadristica era alimentata soprattutto da Tullio Tamburini, il console della "Francesco Ferrucci", punto di riferimento di una corrente movimentista ed estremista che aveva avuto tra le sue file anche Amerigo Dumini. Il 20 luglio 1925, a Montecatini, squadristi legati a Tamburini assalirono il liberale democratico Giovanni Amendola che ,per le conseguenze della violenza subita, morì nove mesi dopo. A partire dal 25 settembre 1925, gli squadristi di Tamburini iniziarono una vera e propria campagna contro gli antifascisti,sviluppata in più giorni.Il fatto più grave accadde nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1925.Nel corso di una incursione squadristica nella casa di Napoleone Bandinelli, al suo prelevamento si oppose il repubblicano Giovanni Becciolini, presente nell'abitazione.Ne scaturì una colluttazione nel corso della quale un colpo di pistola,di provenienza incerta,causò la morte del fascista Giovanni Leporini. Becciolini fu vittima della rabbia squadrista, dapprima picchiato selvaggiamente, poi finito per strada, nella piazza del Mercato. La cosiddetta "notte di San Bartolomeo" proseguì poi con l'uccisione, nella sua casa,dell'avvocato Gustavo Console, e l'aggressione dell'ex deputato socialista Gaetano Pilati, che pochi giorni dopo decedeva per le ferite subite. Quello guidato da Tamburini fu un vero e proprio assalto alla città giustificato come azione contro l'antifascismo, la massoneria, la borghesia e perfino contro i liberali accusati di opportunismo inquinatore del fascismo. Anche la provincia fu colpito con assalti che riguardarono Sesto Fiorentino, Badia a Ripoli, Tavarnelle, Galluzzo, Impruneta.

Il "Tamburinismo" pose problemi a Mussolini ed a Farinacci, segretario del PNF. Tamburini fu allontanato da Firenze per svolgere altri compiti. Successivamente divenne prefetto di importanti città. Quanto era accaduto assunse una rilevanza negativa di rilievo per il Fascismo. Anche il prefetto ed il questore della città furono allontanati.In realtà era in atto una furibonda contrapposizione in seno al fascismo fiorentino, diviso tra i "guelfi" e i "ghibellini", come li definiva Curzio Malaparte, segretario provinciale della federazione dei sindacati fascisti fiorentini.

La situazione fiorentina fu dapprima affidata al quadrunviro, Italo Balbo, che avviò la normalizzazione facendo anche leva su elementi provenienti dallo squadrismo non fiorentino.Successivamente la responsabilità passò a Giovanni Marchi, un liberale traghettato al Fascismo. Il Fascismo fiorentino fu riequilibrato con potenti epurazioni (oltre 500 iscritti allontanati).L'allontanamento degli esponenti più estremisti, concesse ampio spazio al ceto aristocratico e nazionalista, dunque alla tradizione più solida del potere provinciale.

All'inizio del 1926, rispetto alla componente cosiddetta "popolare",che aveva espresso Tullio Tamburini, e quella "borghese"che aveva espresso Dino Perrone Compagni, prevalse la componente aristocratica rappresentata dal marchese Luigi Ridolfi che fu nominato federale. L'anno successivo, tuttavia,il marchese Ridolfi fu affiancato da Pavolini,espressione dello squadrismo, nominato vice federale. Pavolini giovane intellettuale, con ambizioni artistiche letterario-cinematografiche, era in contatto con gli ambienti più convinti della necessità del rinnovamento, come quelli romani rappresentati dal critico Alessandro Blasetti.Nel contempo era un frequentatore dei salotti borghesi della Firenze dei circoli e dei caffè.

Nel 1929, Pavolini sostituì Ridolfi nella carica di segretario provinciale del fascio di Firenze.Il suo intento era di dare al fascismo fiorentino un'impronta culturale innestata sulla concezione "squadristica" d'assalto. Nello stesso anno Pavolini fondava la rivista "Il Bargello", come organo della sua federazione.

Pavolini volle manifestazioni culturali popolari, il rilancio del calcio in costume, la mostra dell' artigianato, la primavera fiorentina. Sviluppò inoltre le raffinate iniziative impostate del predecessore Ridolfi, come il maggio musicale.Il tutto con il fine di assumere l'immagine di "mecenate politico"

La nomina di Pavolini a federale non significava l'abbandono dell'alleanza tra fascismo e ambiete nobiliare fiorentino.Ne è prova la nomina,nel 1930, di Giuseppe della Gherardesca a podestà di Firenze, sostituito poi, nel 1933, da Paolo Venerosi Pesciolini, quando Niccolò Antinori divenne podestà di Scandicci.

Il 27 ottobre del 1934, il fascismo inaugurava la cripta dei cosiddetti 37 "martiri fascisti" dandogli un valore di grande solennità.Il cerimoniale seguito, impiegato poi in altre città, voleva significare una vera e propria glorificazione squadrista. La mobilitazione dei 14 gruppi rionali fascisti, divisi in settori, doveva servire a enfatizzare al massimo una manifestazione che, come ha scritto la storica Alessandra Staderini, ebbe valenza nazionale. Fu "consacrata" da una breve visita di Mussolini, accompagnato dal suo delfino Galeazzo Ciano e dal segretario del PNF, Achille Starace, e da un'amplissima rappresentanza di federali provinciali ed altre autorità del regime. Si voleva che i morti per il Fascismo vivessero "sempre nel culto di tutti i seguaci di Mussolini e del popolo italiano". Fu una grande parata del regime e dello squadrismo, tesa ad alimentare la leggenda dell'eroismo dei portatori di una "neofiorentintà eroica": il suggello tra "la disciplina delle masse e la fede nel capo".

Questa banalità retorica manifestava con efficacia il vuoto di valori dietro al quale il regime nascondeva le sue plateali contraddizioni.In particolare il contrasto fra il presunto rivoluzionarismo delle proprie origini e la completa sovrapposizione della nazione fascista sull'idea di nazione fondata sulla libera cittadinanza.

Nel continuo decadere del principio di cittadinanza, inaugurato nel 1922 e completato dalle leggi fascistissime del 1926 che avevano ucciso definitivamente la libertà, Firenze fu costretta ad esercitare un ruolo chiave. Nonostante questo, a Firenze restarono spazi di dignità intellettuale. La rivista "Solaria", fondata da Alberto Carocci nel 1926, con intenti prevalentemente letterari aperti alla cultura europea. La rivista dovette poi chiudere nel 1936 per il restringimento del proprio spazio operativo. La rivista "Frontespizio",costituita nel 1929, rappresentò il tentativo di mantenere viva l'identità cattolica all'interno del fascismo, dopo i Patti lateranensi. La rivista ebbe poi un biennio positivo in corrispondeza alla coesione tra regime e mondo cattolico verificatasi con la guerra di Spagna.

Firenze, per il proprio livello culturale, rimase sempre al centro delle più rilevanti vicende del regime mussoliniano. Accadde, per esempio il 9 maggio del 1938 quando, nel corso della visita di amicizia in Italia,vi fece sosta Hitler. La città venne mobilitata per dimostrare la grandiosità del Fascismo, al dittatore trionfante per la recente realizzazione dell'Anschluss, l'annessione dell'Austria. Titolava "La Nazione": Firenze insuperabile in ardore inneggia al capo della Germania amica e al duce. Lontana da quella Firenze stava l'altra Firenze che comprendeva l'abisso in cui il regime stava portando l'Italia. Anche la Chiesa aveva una visione lucida del processo che il Fascismo aveva avviato.Il Cardinale Dalla Costa decise di tenere chiuse le porte del Duomo al passaggio del corteo di Hitler e Mussolini. Nello stesso anno, l'allontanamento tra la Chiesa e l'orientamento filonazista di Mussolini, provocò anche una crisi della rivista Frontespizio allora diretta da Barna Occhini sostenitore della vicinanza tra i due paesi

La visita di Hitler fu anche il preludio della definitiva adesione fascista alle leggi razziali. Nel luglio 1938, un sorprendente manifesto di cosiddetti "scienziati" enunciava la teoria sulle differenze delle razze, con evidente intento antisemita. Il 22 agosto 1938 il governo annunciava il censimento nazionale delle persone di razza ebraica. Con assoluta tempestività, Palmieri, prefetto di Firenze, sollecitava al podestà Venerosi Pesciolini una rapida attuazione del censimento. Di lì a poco, con procedura d'urgenza, il re Vittorio Emanuele controfirmava la legge che discriminava gli ebrei e li privava di fatto della cittadinanza. Si avviò così l'allontanamento degli ebrei: privando gli studenti della scuola, gli insegnanti del loro lavoro, gli imprenditori della loro azienda. Con la guerra, iniziò anche l'internamento in speciali campi, mentre la vera Firenze, quella estranea al fascismo, iniziava ad attuare le forme clandestine di assistenza agli ebrei.



Il Fascismo a Scandicci

Dopo l'assassinio di Spartaco Lavagnini, il 27 febbraio 1921 ed i tumulti che ne seguirono, i cittadini di Scandicci si strinsero attorno al Consiglio comunale ed al sindaco Silvio Cicianesi. Furono erette barricate in vari punti della città. In particolare, al ponte sulla Greve -strada di collegamento con Firenze- dove ci si aspettava l'arrivo degli squadristi, venne eretto l'ostacolo più solido, il "trincerone". La mattina del 28 febbraio arrivò un contingente dell'esercito dotato di autoblindo e cannoni da campagna.Sfondato il trincerone a cannonate, entrò in città, cannoneggiò il palazzo del Comune e poi la Casa del Popolo, quindi arrivarono i fascisti e il contingente si ritirò. I fascisti ebbero mano libera. Si ebbero rappresaglie immediate.Oltre alla distruzione delle sedi operaie, si colpì la vita democratica. Furono imposte le dimissioni del Consiglio comunale e si nominò un Commissario prefettizio con mansioni di ordinaria amministrazione. Molti cittadini di Scandicci vennero sottoposti ad indagini giudiziarie che determinarono il "processone"(definizione ironica della Nazione), a carico di 26 cittadini, che iniziò il 21 novembre 1922( a Marcia su Roma avvenuta). L'accusa era di insurrezione armata contro i poteri dello stato, tentato omicidio aggravato,interruzione dei servizi telegrafici e telefonici.Il sindaco Silvio Cicianesi venne condannato a 15 anni di reclusione,l'assessore Vittorio Michelassi a 5 anni e 10 mesi. Altri dieci imputati vennero condannati a pene variabili.Quattordici imputati vennero prosciolti.Questa vicenda,naturalmente, contribuì, ad incrementare il casellario politico della questura.

I cittadini di Scandicci schedati al casellario politico -quindi sottoposti a particolari "attenzioni" in quanto sovversivi, cioè pericolosi per l'ordine pubblico- risultano essere stati 106. Fra di essi: 49 qualificati come comunisti, 32 socialisti, 12 antifascisti, 11 anarchici e 2 non connotati specificatamente. Nel casellario politico i 106 schedati del periodo fascista si sommano ai 27 schedati dal 1896 al 1916. Quest'ultimi erano distinti in 17 socialisti, 8 anarchici e 2 non connotati specificatamente.
L'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, provvide alla celebrazione di processi che coinvolsero numerosi cittadini di Scandicci. Nel 1926 si ebbero molti arresti per il reato di ricostituzione del Partito Comunista. Gli arrestati vennero processati l'anno successivo e furono inflitte varie condanne. Tra i "colpevoli" ricordiamo gli scandiccesi Renzo Berti, Fausto Giani, Ugo Grifigni, Santino Mugnai e Giulio Ugolini, condannati a pene detentive varianti dai due ai tre anni ciascuno. A Milano, nel 1927, venne arrestato un gruppo di militanti perchè cercava di ricostituire la Confederazione Generale del Lavoro. Tra questi figurava Osvaldo Benci, di Casellina e Torri che, ritenuto il principale responsabile, veniva condannato a venti anni di reclusione. A Firenze veniva arrestato un gruppo di militanti comunisti che, accusati di avere tentato, "antecedentemente al 1924 e fino a tutto il 1926" di riorganizzare il partito, venivano processati davanti al Tribunale speciale. Tra di loro figurava Giulio Ceccuti, di Casellina, che veniva condannato a cinque anni di carcere. Nel 1927 si ebbe un altro tentativo di ricostituzione del Partito Comunista al quale avevano preso parte anche Iginio Bercilli, di Casellina e Torri. Arrestato e processato, il Bercilli veniva condannato a sei anni di reclusione. Sempre per lo stesso motivo veniva arrestato e processato un altro gruppo fiorentino del quale facevano parte Autilio Ceccarelli, Olinto Ceccuti e Gino Frosali, tutti di Scandicci. Giudicati colpevoli venivano condannati a pene detentive oscillanti fra i tre ed i quattro anni ciascuno. Della vasta rete comunista, ricostituitasi in Toscana dopo gli arresti del 1937 e scoperta l'anno successivo, facevano parte anche Giuseppe Calattini, Ugo Miliani Tebaldo Cambi, Enrico Checcucci e Fosco Conti di Scandicci. Giudicati colpevoli, venivano condannati a pene oscillanti dai cinque ai due anni di reclusione. Un gruppo pratese dedito al "soccorso rosso" ed all'"organizzazione comunista" veniva individuato ed arrestato nel 1941 e processato nel 1942. Tra di loro figurava Oliviero Frosali di Scandicci, che veniva condannato ad otto anni di carcere.